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forse la meta della umanità? Verso la giustizia? Ma, e coloro che saranno morti prima? Perchè a Napoli in questo momento fioriscono gli aranci e nelle nostre strade gelano perfino i discorsi? Perchè qui, a Pietroburgo, la stufa deve sostituire il sole? Quando noi saremo morti, impiccati dopo un processo ancora più ridicolo che ingiusto, più ingiusto che bestiale, che differenza rimarrà fra i nostri cadaveri e quelli dei giudici, che ci avranno condannati? A che ci servirà il progresso, nel quale tu speri? Chi ci dirà il perchè del nostro dramma passato, perchè io dovessi essere il vinto ed essi i vincitori? Chi ci dirà davvero che cosa io abbia perduto, e che cosa essi abbiano guadagnato?
— Hai dunque paura? proruppe Fedor deponendo la grossa pipa sul tavolo, ed allungandosi indolentemente sulla sedia. La sua faccia rossa, coi piccoli occhi cilestri e la larga bocca sensuale, aveva una sprezzante espressione di calma.
L’altro non rispose.
Andrea Petrovich andò a sedersi al pianoforte e, toccandone con la mano sinistra i bassi, ne cavò un accordo cupo.
— Già! esclamò Slotkin: suona, ciò distrarrà il dwornik, e lo convincerà meglio che noi siamo qui per sentire la tua opera su Boris Godunof; e volgendosi a Fedor: mi domandavi se ho paura? Forse! non quella della morte. Di questa è inutile temere, tanto si muore ugualmente: tutte le