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di libri; da un attaccapanni pendevano alcune sottane; la specchiera non aveva dinanzi nè vasetti, nè barattoli.

Una piccola busta di ferri chirurgici era aperta sopra un tavolo ingombro di libri presso la finestra.

Un ritratto grande di Wirchow in litografia dominava sul letto.

Sofia Semenowna era corta e grassa, coi capelli bianchi e i denti gialli: le sue guancie floscie avevano il colore che solo le carceri sembrano dare. Quella vita fra quattro mura le aveva fatto una fisonomia di cera, che gli eccessi del bere avevano macchiato di chiazze livide. I suoi occhi grossi tiravano al giallo per la malattia di fegato, frequente nei bevitori.

— Non hai riportato un kopek da tutte le tue visite: sei dunque uscita per spassartela con qualcuno de’ tuoi colleghi? le disse cinicamente nella schiena, mentre Olga si levava il mantello.

L’altra si contentò di alzare le spalle.

— È venuto qualcuno a cercarmi?

— Chi doveva venire? Bisogna sapere condursi per avere dei clienti.

— Se ne avessi, voi li disgustereste col modo di riceverli.

— Ah! sono io, ribattè alzando la voce rauca; non hai saputo nemmeno guadagnarti il posto di assistente all’ospedale; curi solo la canaglia, che non ti paga. Perchè hai ricusata la cura di Teresa Paulowna? Suo marito, il mercante, è ricco.