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sfidando la tempesta. Un imbarazzo s’aggravò su tutta la sala. Kriloff, a fianco di Loris, aspettava che questi gli si rivolgesse per scusarsi e dir tutto in due parole; Ogareff, che aveva già riempito un bicchiere di champagne, glielo tese:
— Bevete.
— A che cosa? domandò Loris senza sorridere.
— Alla vostra guerra, ribattè Ogareff piccato.
— O alla vostra; una guerra, nella quale si berrebbe sempre champagne, e depose il calice sulla tavola senza averlo appressato alle labbra.
— Ah! disse Ossinskj: voi vorreste dunque rubare e assassinare!
— Sì.
— Bruciare tutti i castelli senza riguardo nè a vecchi nè a bambini! gridò Kepsky.
— Sì.
— Spingere i villaggi alla rivolta, perchè i reggimenti li massacrassero!
— Sì.
Fedor, sollevandosi con uno sforzo, gridò:
— Voi non siete nemmeno Carlo Moor, il nobile masnadiere di Schiller.
Vi fu una sosta: ognuno di questi sì era stato pronunziato colla stessa intonazione.
— E voi, Andrea Petrovich? chiese improvvisamente Loris, rivolgendosi al musicista, che seduto colla fronte appoggiata ad una mano contemplava intontito la scena, e non rispose. Tu Kriloff? Voi Ogareff?