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Si fermarono davanti ad una casa in muratura, chiusa da un altissimo stecconato nero interrotto da un cancello a grosse sbarre di ferro foderate da lamiera per togliere ogni vista ai curiosi; pareva una fortezza. Alti pini le coprivano quasi interamente il tetto coi rami; si distingueva poco più lungi un altro caseggiato.

Topine rattenne Loris per una mano, poi improvvisamente, a più riprese, imitò il fischio della vaporiera.

Il cancello si aperse, e comparve un vecchio in caffetano rosso, tutto raso. Topine gli pronunciò all’orecchio una parola, quegli squadrò Loris, e li accompagnò fino alla porta. La casa aveva i muri a scarpa, colle finestre piccole e nere.

Topine disse a Loris:

— Resta qui.

— Alla porta? E invece lo spinse avanti così vivamente che l’altro non osò resistere.

Il servo accese una piccola lanterna, quindi li condusse per una scala di legno attraverso alcune stanze sino ad un gabinetto tutto giallo. I suoi mobili erano dorati, le pareti rivestite di damasco.

Loris si guardava attorno meravigliato, Topine tremava.

Poco dopo entrò una donna vestita di rosso, con una lunga veste a coda: era alta, bianchissima, con un’immensa capellatura nera. Topine le si gettò ai piedi, baciandole le pantofole rosse