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tulle e le colonne ramee dei pini sembravano soffrire quanto gli uomini per la inclemenza del cielo; discendendo i fiumi, pei quali la storia passò come per una grande strada, e che alimentano ancora colla propria pesca tanta parte del vasto impero; mescolandosi ai pellegrinaggi dei mugiks verso le catacombe dei santi più gloriosi, o associandosi ai banditi percorrenti malgrado la sorveglianza spietata della polizia ogni provincia colla falsità di tutti i mestieri e la facilità di qualunque delitto, viaggiò come Rakhmetof, l’eroe prediletto di Tchernicewsky, attraverso tutta l’anima russa.

La sua cultura aiutata da una meditazione, che quell’esilio spirituale rendeva più intensa, gli scopri molti segreti della vita e della storia nazionale. Indovinò dall’opposizione delle steppe colle foreste la lotta secolare fra le due metà della Russia, il nord sedentario e il sud nomade, tra il russo ed il tartaro; sentì la fatalità del primo stato moscovita, cinto da una barriera naturale di selve e di là straripante sulla steppa, ove pastori ed agricoltori vagavano nel primo inconscio atomismo sociale; comprese il lento procedere della civiltà per questo impero, di cui ogni provincia è un regno, e nel quale le città sorgono ad immense distanze sulle campagne sommerse dalla propria immensità, ma sopratutto sofferse e vide soffrire ogni varietà di miseria con quella rassegnazione russa, che nè il clima potè mai vincere,