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un abito, che doveva arrivare da Pietroburgo: nella settimana ci sarebbe festa al castello di Viasma. Ella ci andrebbe collo zio. Loris l’ascoltava ricevendo a una a una le sue parole sul cuore come goccie gelate; poi fece un gran gesto drammatico. Tatiana tornò a sorridere.

— Vuoi che ci vada adesso? e scattò in piedi.

Tatiana corse salterellando nel mezzo della stanza, si rivolse, e gli gettò dall’uscio beffardamente:

— Povero Loris!

Sotto questa scudisciata egli s’avviò precipitosamente verso le stanze del principe, a pianterreno; traversando il cortile vide Tatiana alla finestra, che rideva. Evidentemente la fanciulla, non credendo a questa smargiassata, lo beffava colla monelleria dei primi giorni, quando si erano conosciuti. Loris si arrestò: forse a lei parve irresoluto, e gli fece un gran cenno per aria, rinchiudendo la finestra.

Egli era già presso il piccolo uscio a vetri, che dava nell’appartamento del principe.

Nell’anticamera trovò Andrea Ivanovich e Vaska.

— Andate dal principe, batouska? gli chiese colla sua voce buona il vecchio intendente: ci vado anch’io. Vaska vorrebbe domare i due morelli, figli di Gourko e di Letounia.

— Bisognerebbe aver già cominciato, intervenne Vaska battendosi con un grosso frustino sugli stivaloni molli, che gli strozzavano le corte gambe