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inferiorità dinanzi a quell’ereditiera di uno dei più illustri nomi e dei più grossi patrimoni della Russia, riparlava sempre di andarsene con un accento, nel quale un fino osservatore avrebbe notato una certa smanceria. Tatiana, più nervosa, s’indispettiva dicendo che lo zio stesso non lo avrebbe permesso, giacchè sino dal primo giorno lo aveva ceduto a lei.

— Allora mi prendeste per giuocare; adesso non potrei essere che uno dei vostri domestici.

— Vi dispiacerebbe tanto di servirmi? Ma sotto la gaiezza dell’accento si sentiva la nota imperiosa.

— Potrei amare, non servire, egli rispose con durezza.

Erano nella piccola sala rossa dai mobili dorati; Tatiana vestita di bianco si baloccava con una lunga treccia di capelli.

— Amare chi?

— Forse chi non potrà mai capirlo.

Un sorriso di trionfo illuminò il volto della fanciulla.

— Addio! esclamò Loris con accento teatrale.

L’indomani nel giardino s’abbracciarono giurando d’amarsi, ma la fanciulla rimase al di sopra di lui, meno per quella adorazione che l’uomo tributa sempre alla donna nel primo amore, che per l’altezza della sua posizione sociale. Involontariamente Loris si sottometteva alla signora, credendo di ubbidire deliziosamente alla fanciulla.