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letto. Nicola, costretto a bere la vodka in tutte le isbe, cadde svenuto a mezzo il giro così che i mugiks lo riportarono a casa in branco, sghignazzando e cantando il solito proverbio: «La croce è di legno e il pope è ubbriaco». Siccome in casa non c’erano domestici, e il diacono col cantore e il sagrestano avevano seguitato il giro. Maria Alexewna dovette alzarsi per mettere il marito a letto. Nicola rinvenne, dopo due ore, sotto l’azione della febbre.

Alla sera Popiel mandò il raccolto delle offerte, che non era mai stato così magro. Evidentemente diacono, cantore e sagrestano lo avevano decimato, ma, siccome il principe non era al castello, mancava l’elemosina principale. L’indomani Nicola era già in piedi; non voleva ammalarsi. Anche Maria Alexewna parve rimettersi, però Loris s’accorgeva che i due genitori s’ingannavano reciprocamente sulla loro tristissima condizione. In quei giorni Nicola ricevette gli ultimi scritti di Bakounine, l’implacabile monomane della rivolta, e li passò a Loris senza leggerli.

La propaganda nichilista, allora nella prima fase, stava per chiudersi coll’enorme processo detto dei 193, iniziando quel periodo di terrorismo, che costò poi la vita ad Alessandro II. Ma se nelle città se ne parlava con molto fermento, nelle campagne se ne sapeva ben poco, e nel villaggio di Kourlak la notizia della prima rivolta produsse la più stupida meraviglia. Solo Nicola v’indovinò, tremando,