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faccia, le labbra diventate bianche gli tremarono; ma furono pochi istanti. Loris tornava già sorridente col rotolo dell’acquerello in mano.

— Arrivederci, caro principe; non mi accompagnate, l’aria è troppo rigida fuori.

Il principe gli allungò la mano.

À la guerre comme à la guerre, esclamò Loris con gaiezza che all’altro parve insultante.

Pochi minuti dopo il principe udiva tintinnire la campanella della droiska lanciata vigorosamente a tutta carriera. Tatiana si ritirò nella propria camera. Il pomeriggio era cominciato da poco; fuori, nel sereno della giornata freddissima, la luce della neve abbarbagliava. Il principe rimase lungamente alla finestra in una meditazione, che di quando in quando gli traeva sul volto nuvole fosche. La sua veste da camera di seta cinese, a larghi fiorami vividissimi, rendeva col contrasto anche più malata la sua fisonomia di vecchio; portava in testa un berretto ricamato, dono di Tatiana.

La voce di questa lo riscosse.

— Siete ancora lì.

Nel suo accento non v’era che una curiosità benevola. Aveva mutata la veste per un abito di un rosso cupissimo a merletti neri, corto che le lasciava scorgere le scarpine dal tacco alto, di pelle bronzata, e scollate. Una sottile freccia color d’oro le saliva per le calze di seta nera perdendosi sotto le gonnelle.