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Ma la sventura, innalzando Tatiana sulle cime più pure dell’essere femminile, aveva raffinata la sua anima collo stesso esercizio dei santi, che lungi dai contatti del mondo cercano la vita nelle indicibili rivelazioni dell’ideale.

Un ricchissimo samovar d’argento fumava tenuamente sopra un tavolino. Il salotto era piccolo, tutto in legno come una cabina; molte pelli di orsi e di leoni pendevano alle pareti da grandi chiodi neri; sul pavimento di quercia a quadrelli un breve tappeto persiano dai colori smaglianti sembrava una fiorata. Nessun specchio. Un lume enorme a petrolio, in bronzo verde, sostenuto da una catena ardeva come un braciere; nell’angolo un pianoforte verticale nero, in quella chiarezza di tutto l’altro legno, diventava cupo come l’abito di Tatiana. Sedie e poltrone erano di modello americano a bastoni ricurvi, piegati a vapore, con una tela rada e fine di scorza.

La canzone del samovar saliva gorgogliando.

Loris si guardò attorno; se il salottino avesse oscillato si sarebbe creduto in alto mare.

Mentre Tatiana preparava il the, il principe fumava cogli occhi socchiusi; Loris imbarazzato da quella loro disattenzione cercò sulle pareti qualche oggetto, cui interessarsi. Non vide che il ritratto di un cavallo. Nell’aria caldissima passava il soffio continuo della bocca del calorifero cerchiata di ottone. Quando il the fu pronto, Tatiana ne portò la prima tazza al principe, trat-