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Quando si allargò il moto terrorista, egli si schierò col gruppo più moderato senza contrastarvi, perchè la sua fatalità s’imponeva oramai a tutti.

La sua vita si riempì così di una immensa ambizione: essere il presidente di quella segreta repubblica di minatori, che volevano far saltare il trono più grande del mondo. Ma, diplomatico cresciuto nei circoli del governo, affettò il maggiore riserbo in faccia al Comitato, che allora dirigeva quella guerra.

La morte di Alessandro II, disorganizzando il nucleo terrorista, lo mise fra i membri del nuovo Comitato esecutivo, ove recò la terribile prudenza di quell’odio signorile, così diverso dal rancore dei rivoluzionari di piazza. Nessuno conosceva come lui la cancrena delle alte classi, e sentiva più profondamente la necessità di togliere loro il potere a qualunque costo; nessuno forse metteva in tale passione rivoluzionaria una più acuta sete di rivincita, dacchè respinto da tutte le carriere politiche e libero da ogni vincolo di affetti domestici, in sul declinare di una vita malaticcia, non gli restava più che una suprema ambizione di sovrastare a tutti coloro, dai quali era stato sconfitto.

Per opera sua il Comitato mutò subito di tattica, sospendendo gli attentati contro Alessandro III. Il principe, che conosceva bene le campagne e sapeva come tutti i contadini tenessero nella propria isba al di sopra delle sacre immagini il ritratto di Alessandro I, lo Czar martire, temeva una ri-