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rio per trovare l’anima della moltitudine, e quella passione ardente dei minuti particolari, che forma davvero la caratteristica degli uomini d’azione. Non vi sono grandi fatti nella vita, ma grandi risultati spesso non visibili che a grandi distanze. I maggiori artefici della storia cominciarono sempre inconsapevolmente; le loro passioni coincisero col sentimento delle masse, mentre l’egoismo della loro carriera li salvò dall’incertezza dialettica dei sistemi. Credendo operare nel proprio vantaggio ubbidirono alle impulsioni popolari, finchè si ruppe l’impercettibile accordo del loro individuo colla moltitudine, e morirono abbandonati.

Loris, sentendo in Proudhon, in Lassalle e in Marx tre delle nature più vanitosamente aristocratiche del secolo, credeva di somigliare loro; e si scordava che questi oligarchi rivoluzionari, capaci di spregiare tutto nel nome del popolo senza credergli, dovevano pure per una antitesi forse inintelligibile a loro stessi avere coll’anima popolare qualche profonda affinità.

Ma nella studentesca era già scoppiato un dualismo nel giudizio su Loris; alcuni, offendendosi che non fosse studente, gli negavano ogni valore. Chi era? Che cosa faceva a Kazan? A sentirlo non v’era in tutta l’Università un professore decente, sebbene non avesse mai intesa una loro lezione; nessun autore aveva per lui abbastanza autorità. Ma gli altri insorgevano: perchè domandare ad un uomo chi è, quando il suo valore è