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testa, gli disse mostrandogli una piccola rivoltella.

La faccia di Loris era fosca.

— Che c’è, barine?

— Domani tenteremo la prima vendetta; ne va della nostra vita.

Topine eseguì puntualmente la commissione.

In tutto il resto della giornata Loris studiò la foresta per indovinare da qual punto entrerebbe la comitiva, e come si dividerebbe pei sentieri. Quasi tutti conducevano allo stagno di Asok, famoso nei dintorni per la pesca delle anguille; ma il più breve ed insieme il più pericoloso era appunto quello degli androni, attraverso un’avvallamento del suolo dovuto ad antico lavorìo delle acque, abbastanza bello di selvaggia orridezza. Loris sapeva che fra quelle anfrattuosità v’era una caverna, nella quale più di una volta aveva riposato da fanciullo col babbo. La rinvenne. Un folto di pruni selvatici, fra cui i cani stessi avrebbero stentato a cacciarsi, la nascondeva ad ogni sguardo. Ordinò a Topine di portarvi la lucernina, provò se dal di fuori la sua luce si scorgesse, e vi fece disporre due grossi fasci di fieno. Uno avrebbe servito da letto, l’altro per otturare ermeticamente l’ingresso.

— Di chi ti vendicherai, barine?

— Di una principessa.

— Oh! esclamò Topine passandosi con atto goloso una mano sulla barba sempre impegolata di marcia: pane bianco! Come faremo?