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sole. La tinozza le innalzava ai piedi una nuvola molle e vorticosa, e le lampade intorno al trono impallidivano ai bagliori della stella brillantata, che le tremolava sul capo.
Quella vecchia, rannicchiata sui gradini del trono, le si nascose sotto il manto accovacciandovisi come una scimia e salendole colle lunghe mani grinzose lungo le reni, mentre il viso incartapecorito le sorrideva animalescamente al contatto aromatico di quelle carni brinate e marmoree. Poi una giovinetta montò tremando gli scalini per abbandonarsi sul corpo della dea, e cadde colla bocca sulla sua bocca. Ambedue oscillarono; ma la dea si scosse rovesciando la giovinetta svenuta ai propri piedi. Allora un hurrà fece palpitare i veli della vôlta. Tutti i fedeli si rialzarono stringendo un’altra ronda furiosa intorno al trono. La diva, insensibile, con quel cadavere ai piedi e quella bestia fra le gambe, quasi sostenuta da quel manto azzurro, e pura come il marmo, pareva sfidare coll’enigma del proprio sorriso dolentemente voluttuoso la loro passione. Un fascino divino emanava dal suo corpo potente di tutte le forze della maternità e fulgido di tutti gli splendori virginei; il suo ventre palpitava più del suo seno, il sorriso le errava come una fiamma sulla bocca rossa. Essi cantavano, urlavano sgambettando, stirandosi, stracciandosi quasi le membra, mentre i loro accappatoi sollevati dal vento li nascondevano quasi, e la frenesia del