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alte, guardando al cielo. Il suo volto statuario, insopportabilmente bianco, pareva quello di una Niobe, tanto era il dolore che ne gelava i lineamenti; ma le sue labbra erano più rosse di una ferita, e i suoi occhi ingranditi dalle occhiaie livide nuotavano in una fiamma azzurrognola. Lentamente salì al trono. Tutti erano caduti ginocchioni, colle mani tese; alcuni piangevano.
Ella li guardò con una inesprimibile passione d’amore, incrociandosi le braccia dietro la nuca, e arrovesciando la testa così che i capelli le si confusero sul velluto nero del trono. Nel largo manto aperto si scoprì nuda alla adorazione dei credenti.
Loris dal proprio uscio la vedeva di fronte, atteggiata scultoriamente sul fondo turchino dell’accappatoio come dentro una nuvola; il suo seno pareva di vergine, coi capezzoli rosei, e il suo ventre di madre. La linea ondulante delle anche si piegava ai ginocchi di un’estrema finezza, interrompendosi agli stinchi, chiusi da due monili di brillanti; mentre le coscie, leggermente divaricate in quella violenza del ventre proteso, mostravano ai fedeli la gloria della sua maternità in un divino impudore.
Sorrideva. Brividi luminosi le scendevano dalla fronte per tutte le carni, spegnendosi sul velluto del tappeto.
L’adorazione cominciava.
Tutti i volti di quei fanatici s’illuminavano della sua bellezza come fiori ai primi raggi del