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piegate e la faccia cinerea; altri balzava furioso come un cavallo slanciandosi nell’aria, chi si dondolava in una specie di valtzer; un vecchio roteava sopra sè stesso, colle mani in croce e gli occhi chiusi, insensibile a tutto. Loris vide una giovinetta bella, dal volto marmoreo, che colle braccia abbandonate e la bocca aperta protendeva il ventre in un conato mostruoso, che le spezzava le reni e la faceva singhiozzare. Poi coppie di uomini e di donne saltellavano prendendosi per le mani, urtandosi rabbiosamente coi petti, e cantavano. Una donna, coll’accappatoio rigettato sui lombi sino alla cintura, scopriva un seno grasso, dondolante, di una carne stanca; verso di lei veniva un’altra donna colle braccia tese e l’occhio fisso come dietro un fantasma, che si fosse involato dal vapore ondulante sulla tinozza. Molti caduti in ginocchio si percuotevano le mammelle, o si rotolavano sul tappeto.

Uno gridava monotonamente: oh! oh! spiccando balzi prodigiosi per ghermire una lampada sospesa troppo in alto; una vecchia, dopo aver corso pazzamente intorno alla sala, venne a cadere moribonda sul primo gradino del trono.

Quello scoppio di demenze individuali era anche più insopportabile della prima ridda. Invano Loris si richiamava alla memoria quanto aveva letto su questi riti orientali, e le spiegazioni nevropatiche che ne dava la scienza moderna; la scomparsa totale della personalità umana in quei