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L'Europa è sossopra. Parigi, Berlino, Vienna tumultuano: la rivoluzione gloriosa e sanguinante è vinta dovunque, ma fra tutte quella d'Italia, allora forse la meno osservata, è la più significativa. Al principio della nazionalità essa congiunge il problema del papato. Per tutta la storia, dal più oscuro medio evo fino a Napoleone primo, nessuno aveva potuto risolverlo. L'Italia vi si accingeva. Il papato colpito da improvvisa quanto inesplicabile demenza aveva concesso una costituzione, che infirmava naturalmente il suo principio; quindi l'aveva tradita per non essere trascinato fuori della propria orbita, e la rivoluzione era scoppiata, uccidendo nel ministro papale l'ultima illusione di un accordo fra l'Italia e il Vaticano.
La repubblica romana doveva morire prontamente, ma bastava ad interrompere la vita millenaria del papato.
Quindi il dissidio religioso invelenì nelle coscienze liberali. I più coraggiosi nauseati dalle attitudini del pontefice, che fuggiva piuttosto che resistere e malediceva invece di compiangere, si gettarono nella rivoluzione oramai troppo male ridotta per trionfare, e bestemmiando cattolicismo e federazione invocarono come suprema necessità della patria gli esterminii del 93. I più arretrarono mascherando di pretesti religiosi la prudenza, che li faceva