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le forze restanti: poi le antipatie regionali sempre alimentate dai vecchi governi e male sopite nella gioia della prima fusione, infieriscono esasperate da rovesci che la vanità dei vinti accusa di tradimento. Non si pensa più all'unità, si ricalcitra persino all'unione. L'aristocrazia come classe rimane per codardo egoismo aderente ai governi abbattuti; il popolo grosso e minuto senza coscienza vera di libertà, poco uso alle armi e meno ancora ai sacrifici, subisce malgrado ogni fascino delle novità il prestigio delle antiche dinastie, mentre i preti lo riconfermano nel terrore della religione e le vittorie austriache gli riconsigliano la prudenza, colla quale da tanti anni resiste nella schiavitù. Le campagne peggio che indifferenti sono ostili alla rivoluzione; l'avarizia domestica e la bigotteria religiosa e politica v'imperversano al punto che un clero meno vile avrebbe forse potuto suscitarvi una contro-rivoluzione.
Solo la borghesia è rivoluzionaria, ma fiacca per abitudini, non pratica di governo, non facile alle armi, nutrita più di rettorica che di scienza, meglio atta a morire in un impeto di disperazione che a perseverare in una lotta disuguale di forze, incerta di scopi e di processi, si smarrisce. La sua parte più giovane e più numerosa accorre sotto le bandiere, mentre i suoi seniori ammalati di