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Forse l'acrimonia del carattere e l'angustia dello spirito giacobino gli acuirono la naturale perspicacia dell'ingegno.
Ma i principi d'Italia, malgrado la nuova aria che li sollevava tant'alto, rimasero troppo più bassi che all'opera non fosse necessario.
Il meno tristo di tutti, Carlo Alberto, bizzarra fusione di Don Chisciotte e di Amleto, vano nelle speranze quanto vile nel dubbio, invocato capo concedeva la costituzione e correva a farsela perdonare dal confessore. Ambiva la conquista d'Italia e non osava arrischiare il Piemonte, odiava la libertà e languiva assetato di favore popolare. Nullameno, era il solo che ardisse desiderare se non un'Italia libera almeno una gran parte di essa riunita e compatta. Ma giovinetto, che aveva cominciata la vita col tradimento raddoppiandone l'infamia colla espiazione del Trocadero, doveva chiuderla vecchio con un abbandono che il popolo nella infallibilità dell'istinto chiamò traditore; mentre l'astro da lui aspettato con romantica vanagloria sul suo scudo immaginario di guerriero aveva duopo di altri dieci anni per apparire sull'orizzonte d'Italia e fermarsi chissà per quanto tempo sul tetto del castello savoiardo.
La guerra scoppiò prima che la confederazione dei principi italiani fosse stretta: quasi tutti tradirono. Il pontefice, che aveva prome