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enza perfidia della volontà, mentre la cornice lavorata dalla Chiesa per chiudervela non essendo mai stata santa non era nemmeno più bella.
Queste idee torbide gli si rischiaravano a mano a mano nell'azione.
Se domani il papa cessasse di essere re, non uno dei cattolici cesserebbe di essere tale: il re non era dunque necessario.
Gregorio XVI, il re d'allora, era crudele. Don Giovanni troppo ignorante per aver letto il Trionfo della Santa Sede, e stimare in lui il teologo, era troppo buon cittadino per non disapprovare il pessimo sovrano; ma quando per propiziarsi lo czar il papa riprovò i Polacchi morenti con disperato eroismo contro i Russi, Don Giovanni fu quasi per trascendere. Il potere temporale, che teneva schiava l'Italia, minacciava di mutarsi in ragione di schiavitù a tutti i popoli.
Non bastava soffrire, bisognava aiutare. Don Giovanni entrò nella vita politica chiamato dallo stesso strido di dolore, che lo aveva più volte condotto al letto dei moribondi.
Così rimase prete.
Niuno sulle prime se ne accorse. La rivoluzione che si compiva silenziosamente nel suo spirito, somigliava a quella che si veniva maturando in Italia e della quale gli affigliati sapevano poco, i