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Persecutori e perseguitati, preti e rivoluzionari, governanti e ribelli, tutti parlavano il medesimo linguaggio vantando gli stessi ideali. La religione era una gloria e un ornamento cui niuno si ricusava, ma il clero esercitandola non era più fuso con lei come in passato. La padroneggiava senza possederla, presso a poco come l'Austria faceva coll'Italia.
Se i grandi spiriti religiosi coglievano nel cattolicismo i difetti derivati dalla sua organizzazione e dalla supremazia vaticana, il popolo sentiva vivamente nel clero la mancanza di religiosità; quindi credulo e beffardo accettava i dogmi e rideva dei precetti, si lasciava ammaestrare e spogliare, ricordandosi delle spoglie e dimenticando gl'insegnamenti.
I preti, mutata l'antica parola, infedeli, nella nuova di giacobini, minacciavano senz'ira e senza paura dagli altari sempre parati a festa: parlavano di rivoluzionari credendovi poco e non comprendendoli affatto. In fondo si tenevano sicuri e ridevano dei frequenti moti di ribellione come di un malcontento prodotto dalla inguaribile corruzione di tutti i tempi; pronti nullameno a combatterla col ferro e col fuoco. Ma se la teorica e il sistema inquisitoriale duravano, gli uomini erano mutati. Ai terribili asceti della tirannide, che avevano curvato con una mano il mondo dei fedeli alle proprie