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catene governative. Per conservare le proprie provincie avversò ogni fortuna d'Italia, costretta ad invocare soccorso da cattolici e da eretici benedisse tutte le violenze e anatemizzò tutti gli eroismi; più vile che nella decadenza dell'impero romano smarrì il senso della sua eterna universalità per non conservare nella coscienza decrepita che il dolore delle ultime ferite e il terrore delle nuove libertà.
Allora, nell'urto del sentimento religioso colla religione, scoppiò la guerra fra il cristanesimo e il vaticanismo.
Da un lato una grande sincerità di idee, tratto tratto turbata da passioni individuali, e una istintiva sicurezza nella equazione della religione colla civiltà; dall'altro la forza di una organizzazione sviluppata in tutto il mondo, mantenuta dalla certezza della tradizione, stabilita sulla verità dei dogmi, raddoppiata dalla potenza della gerarchia, ma il tutto guasto dalla politica di un regno che avarizia e vanità tentarono sempre d'insinuare dogma fra i dogmi, paralizzato dalle antitesi fra il dato umano e il divino favorevoli alla corruzione dei costumi e alla confusione dei precetti. La nuova guerra religiosa arse pressochè in tutti i paesi.
Ma Roma, depositaria dell'unità e quindi inflessibile con ogni nemico, era sempre stata meno dura con coloro che uscivano dalla sua orbita, che contro