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44 | Don Giovanni Verità |
di Cristo moriva primo nel suo nome, araldo eroico e gentile di un esercito di martiri che dopo duemila anni passa ancora per la storia; e la sua figura bella di gioventù immacolata, incuorante con coraggio senza acrimonia i lapidatori a finirlo, gli avrà forse da fanciullo strappato urla d’indignazione. Ma la clorotica ed evanescente gracilità di S. Luigi Gonzaga, chiusa nell’invincibile egoismo del santo che si isola dal mondo e vive, pensa, opera, si consuma e muore entro al proprio sentimento, gli avrà senza dubbio ripugnato.
Nella sua natura la poesia non arrivava fino alla musica: la sua bontà poteva forse simpatizzare colla colpa, non ammirare una virtù chiusa nel fondo del cuore e vaporante solo del pensiero i proprii effluvi vivificatori.
I tempi politici della sua giovinezza ingrossavano.
La Romagna, terra di ribellioni, era tutta agitata da idee liberali ancora torbide ed incerte. Il governo papale discendendo la propria parabola millenaria era arrivato al di sotto del ridicolo nell’impotenza, oltre la nausea nella corruzione; la sua stessa religione, così robusta storicamente per guerre durate e battaglie vinte, sembrava ed era profondamente malata. Il clero romagnolo, numeroso come le cavallette, non aveva nè coraggio nè capacità politica, nè valore intellettuale. Dominava tutte le attività della vita