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vita e di tutta la natura dalle leggi di Dio. Era la rivolta della debolezza costretta a sfogarsi nella empietà.
Le feste si facevano di notte perchè il sole era di Dio. La luna abbandonata e fredda poteva sola comprendere l'abbandono della terra. Era come il delirio doloroso di tutti quei lavoratori che per generazioni di generazioni si erano estenuati a fecondarla e vedendola estenuata com'essi volevano consolarla. Sentivano i suoi lamenti nei boschi, il suo silenzio disperato nei prati, il suo pianto lento nelle rugiade.
La terra piangeva, la terra soffriva. Il suo destino era come quello del lavoratore: i signori le calpestavano nelle guerre e nelle sue caccie le poche messi, le abbattevano le quercie per i loro castelli, le uccidevano i più miti animali per allevare i più infesti.
La terra pativa immobile, chissà da quanti secoli.
E quella contadina sorpresa da una angoscia di pietà guardava la pietra solitaria, che il sole e il ghiaccio avevano tanto bruciata: quante grandini, quante pioggie l'avevano sferzata! La pietra non poteva muoversi. La sua faccia pallida in quel lume di luna era tutta corrosa, bucherata come quella dei poveri vaiuolosi, con una lebbra arida che solo il vento di quando in quando