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36 | Don Giovanni Verità |
ressare alcuno. Per non svenire dallo spasimo mentre mi portavano di peso su per il pendio della strada, misi il labbro inferiore fra i denti e lo perforai senza accorgermene: fui trasportato nella casa più vicina. Il medico di Riolo, un amico, accorse prontamente e non constatò che una forte contusione al ginocchio, che parve impressionarlo: il mio compagno, prevedendo che il racconto della caduta sarebbe giunto a Casola spaventando sinistramente i nostri genitori, mi consigliò di ritornare alla villa invece di discendere a Faenza. Acconsentii. Il medico del villaggio giudicando la cosa leggiera non volle mettere nè ghiaccio nè sanguisughe sul ginocchio: al mattino una sinovite enorme era già determinata.
I dolori infierivano.
Feci telegrafare a Modigliana l’accaduto e attesi fra gli spasimi che ritornasse qualcuno a raccontarmi dei funerali.
Allora io stesso non credevo la cosa molto grave.
La notte seguente non dormii. L’indomani verso sera venne a trovarmi un gruppo dei giovani che dovevo rappresentare.
I funerali erano stati imponenti per concorso di popolo, ma scarsi di oratori e quel che è peggio infelici. Il sindaco di Ravenna, del quale è inutile