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Non bastava morire, poichè la morte era inevitabile, ma bisognava morire colla impassibilità di un orgoglio nel quale la morte non è più una sconfitta, con un valore che provasse ai nemici quanti africani valesse un solo soldato d'Italia.
L'Africa antica incatenava le proprie legioni per impedire loro di fuggire: l'Africa moderna, ancora uguale all'antica, vedrebbe un manipolo più compatto che se stretto di catene resisterle tre ore e cadere simultaneamente conservando nella morte l'allineamento della battaglia, simbolo dell'ordine superiore della loro vita. Questo eroismo non aveva uguale e non poteva averlo come inizio di epoca nuova. Leonida difendendo le Termopili non ebbe che l'eroismo della passione; i Maccabei non superarono Leonida, i Fabii non sorpassarono i Maccabei. In tutti gli eroismi immortalati dalle cronache o consacrati dai poemi la passione è l'anima quando la disperazione non è tutta la forza; nei cinquecento di Dogali l'immobilità della battaglia e della morte provano una coscienza sollevata al di sopra della vita da una di quelle rivelazioni improvvise, che la storia fa nell'anima di un popolo.
Si sentirono grandi, e lo furono.
Il loro colonnello, crivellato di ferite, ravvolto nell'immenso turbine africano, riassunse morendo