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Garibaldi scendeva ad un'altra più precisamente politica ad impararvi i metodi parlamentari e a ricorreggervisi con studio più calmo nelle scienze. Tutti i rappresentanti del vecchio partito moderato erano caduti lungo la via, o caddero toccando Roma. La loro fine fu triste. Malgrado gli eminenti servigi resi e la gloria del tempo nel quale avevano operato, il paese li dimenticò vivi, non li curò moribondi, non li compianse morti. Il difetto della loro opera, maggiore nelle intenzioni che nei risultati, giustificò l'indifferenza della nazione; la quale sentiva come tutti quegl'illustri avessero meno lavorato per lei che per la monarchia, mentre lo spirito dell'avvenire stava ancora nella rivoluzione lasciatasi generosamente immolare alla gloria e all'utilità della monarchia. La morte di Garibaldi e di Mazzini lacerò tutte le coscienze, quella prematura di Cavour le aveva sbigottite: la morte de' suoi successori così varii di ingegno, alcuni così egregi di carattere, tutti così benemeriti di lavoro, non destò nè paure nè rimpianti. La nazione sicura di sè medesima non poteva turbarsi per la morte di uomini, che non avevano voluto fondersi con lei. Mentre la piazza rimaneva calma, forse la corte diventava pensosa.
Agostino Depretis, superstite di tutti quei morti, fu il loro erede