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naviga, è ancora quel mondo che abbiamo abbandonato: tutte le sue gerarchie, le sue scienze, le sue industrie, le sue miserie, le sue glorie vi si trovano condensate, e quindi più vive e vibranti. Per essere veramente soli in mare bisogna naufragarvi, altrimenti la barca è un compagno. Solamente nel deserto si è soli. Là bisogna camminare, vincere, esaurire l'immensità di quello spazio: si ritorna come al primo giorno della creazione, si procede inermi ed intrepidi: tutto è luce e fiamma, e il pensiero brilla e fiammeggia.
Matteucci, che aveva visto il deserto nel primo viaggio, n'era rimasto fatalmente innamorato.
Ripartì superbo e malinconico.
Qualche cosa forse lo avvertiva che quello era il viaggio della morte. Ne' suoi occhi, che all'abbarbaglio del sole africano avevano acquistato una vivezza per noi strana, passavano dei lampi; la sua fronte era minacciosa, il suo gesto aveva talvolta delle ampiezze, che a noi le nostre città e le nostre campagne egualmente rasserrate non consentono. Ci disse addio con uno squillo nella voce che a me parve un appello. Matteucci era un cristiano dei primi tempi, che aveva potuto traversare con noi l'università senza che la sua fede trepidasse un momento. Forse s'era innamorato del deserto perchè nella sua sfolgorante immensità sentiva meglio Dio.