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Mentre il Governo italiano comprava qualche chilometro di arene lungo il Mar Rosso e menava per le piazze le mascherate de' suoi nuovi cinque sudditi, ogni mattina i giornali italiani levavano l'inno augurale a giovani viaggiatori che partivano per l'Africa. Nessuno prima li conosceva e in un attimo diventavano celebri. Una gloria improvvisa e malinconica circondava il loro nome, un interesse tragico rendeva prontamente noti tutti i particolari della loro spedizione. Nessuno sapeva bene a che cosa intendessero, arrischiando così le loro floride vite, ma ognuno si sentiva lusingato dalla intrepidezza dei loro propositi, sperando non so che da questi viaggi senza ritorno nel cuore dell'Africa rimasto sempre chiuso a tutti gli sforzi della civiltà mondiale. E nullameno non erano nuovi nè l'idea nè il fatto di tali spedizioni. Anche trascurando quelle continue dei missionarii, che hanno tanto arricchito in questo secolo le scienze archeologiche, vi furono audaci in ogni tempo, che malati della nostalgia dell'ignoto esularono verso tutte le contrade inesplorate e vi soccombettero o ne ritornarono senza destare nell'anima della nazione la profonda emozione appresavi dall'addio dei nuovi viaggiatori.
Qualche cosa era dunque avvenuto fra l'anima europea e africana che, riavvicinandole, le predisponeva