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XI. [La Tragedia]
Pare strano a me stesso: in questo libro incominciato come sfogo agli
orribili spasimi della mia malattia, non riesco a parlare di me. Un
orgoglio intrattabile mi vieta di gettare in pascolo al pubblico
dolori che hanno talvolta vinta la mia volontà e fiaccato il mio
carattere, giacchè mi sembrerebbe in tal modo di elemosinare coi
lenocinii della frase quella compassione, che gli accattoni di
mestiere tentano coi lenocinii della voce.
Ho scritto cento pagine sul Macchiavelli in venti giorni, ma d'allora non ho più toccato la penna.
La primavera è tornata, sono ancora a letto. Mi hanno seppellito per tre volte la gamba entro una parete di gesso e mi hanno detto di restare calmo.
Quando potrò alzarmi la debolezza sarà tale che dovrò per qualche mese usare le gruccie.