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può, insegnare e non gli si bada; consiglia il dispotismo ed è un democratico, adora il proprio comune e vorrebbe una patria italiana, odia Roma e non si volge verso Lutero: è un artista e non parla mai d'arte, è un indipendente sempre in cerca d'un padrone, un libero che ignora la libertà.
Così diventa a sè stesso e agli altri inesplicabile, ma la sua spiegazione sta nel suo secolo, nel quale muore tutto il medioevo e nasce il mondo moderno. Egli vi è il vertice di tutte le contraddizioni, la vittima di tutti gli antagonismi. La sua coscienza era solo nell'intelletto, la sua infallibilità nell'istinto; vuole l'impossibile e l'impossibile diventa la verità del futuro; si stima un politico e rimane un letterato. A Boccaccio, a Petrarca non era succeduto altrimenti; divennero celebri per le opere cui davano meno importanza, il Canzoniere e il Decamerone. Del resto questa incoscienza è la caratteristica del tempo. Uno solo, il più grande fra i grandi d'allora, sente il vuoto e la morte intorno a sè: la sua anima è tragica, Michelangelo Buonarotti. La diversità delle sue attitudini e la varietà delle sue opere non lo distraggono come Leonardo, la bellezza non lo appaga come Raffaello, la ricchezza non lo soddisfa, la gloria non lo consola. In un secolo dissoluto è casto, in un'epoca irreligiosa sente sopratutto la religione; ha