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è espresso; quella fante è uno schizzo che farebbe meraviglia ed invidia al Boccaccio, Frà Timoteo una figura disegnata colla verità dei migliori quattrocentisti.
Ma la fante se ne va portando seco la maggiore verità della commedia. Timoteo resta e si muta. Nicia e Ligurio, che arrivano, lo persuadono tosto: il frate non oppone loro nè gli scrupoli della coscienza, nè i riserbi della furberia. Alla prima parola di denaro si abbandona; non è uomo, non è frate: pel primo il mercato sarebbe infame, pel secondo un sacrilegio, per entrambi quella posizione di manutengolo susciterebbe difficoltà di testa se non di cuore, di avarizia se non di paura. La prontezza, la schiettezza ribalda del frate, così ben disegnato nell'apertura dell'atto, non sono umane; non ha un dubbio sulla secretezza dei due compiici, non ha uno scrupolo sull'obbrobrio dell'azione, non un'incertezza riguardo alla docilità delle due donne, non una vera passione di avaro che tremi di commozione in faccia all'oro o qualche altro vizio cui quell'oro sia necessario. Non mercanteggia, non si accanisce sulla somma, non sdrucciola sulla lubricità della scena, non si diverte della scempiaggine di Nicia; è cinico senza l'acredine e la sensualità del cinismo. Perchè acconsente egli? Pel danaro: e perchè vuole il denaro? Non si capisce. Non ha