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impassibilità del Machiavelli alle stragi di Fiandra, o giudicanti colla neutralità del Guicciardini le infamie dei re francesi o spagnuoli, parvero abbominevoli e lo furono. La Politica era già costretta ad avere una coscienza come il popolo e la Storia a riunirle in sè stessa.
Ma fra tutti questi lavori di letteratura storico-politica il Macchiavelli non perdè la passione dell'arte vera. In ogni ritaglio di tempo andò riprovandosi in varii generi, dalla commedia alla satira, dai canti carnascialeschi alla novella. In nessuno riuscì a sorpassare la mediocrità, se si eccettui la Mandragola, commedia intorno la quale si urtarono in ogni tempo i più disparati giudizii e per la quale oggi i giornali iniziano un'impresa di esumazione.
La contesa sul teatro italiano è ormai troppo vecchia e sciaguratamente troppo risoluta contro di esso perchè convenga ancora risuscitarla: l'Italia non ebbe e non avrà quindi teatro nazionale. Le ragioni di questo difetto bisogna cercarle nella storia dalla quale si rileva la sua natura. Nella civiltà romana non vi fu arte veramente originale e nazionale. Popolo destinato nel disegno della storia del mondo a stringervi la prima unità, i romani non vi recano quindi che le qualità militari e politiche necessarie allo scopo: nessuna poesia ha cullato di canti la loro infanzia e non hanno epopea; la loro