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la repubblica impadronendosene con mirabile costanza di buone e pessime maniere. Il lirismo repubblicano del Macchiavelli ammutolisce: la sua fierezza di pensatore e di scrittore si ammansa, e ritorna l'uomo della congiura del Boscoli, il letterato di Clemente VII che non osava più parteggiare contro di lui pei Soderini in favore della repubblica. Nè con questo intendo rimbrottare aspramente il Macchiavelli di non essere stato un eroe, ma solamente di ribattere quegli apologisti che tirano a mostrarlo troppo maggiore nell'ingegno e nel carattere che veramente non fosse. Nel racconto della lotta suprema fra Rinaldo degli Albizzi e Cosimo de' Medici si scoprono nel giudizio del Macchiavelli una falsità e una costrizione insolita; fa di Cosimo il ritratto più umano, non vuole affermare la sua mira costante al principato, vede nell'ipocrisia della sua condotta una virtù piuttosto che un mezzo per raggiungerlo, s'intenerisce quasi per la sua prigionia all'Alberghettino e pel suo confino in Padova, non ha una frase per la repubblica morente, non ammira nemmeno l'altera risposta dell'Albizzi, nella quale sono pure, ed egli stesso forse ve le mise, parecchie delle sue frasi favorite.
Il periodo di Casa Medici così importante nella storia fiorentina è dunque in certo modo evitato dal Macchiavelli che non solo scansa di