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baroni del contado, che vinti e costretti a vivere nella città vi avevano portato colla ferocia dei costumi la crudeltà di un odio di razza. Il Macchiavelli, tratto dal suo bisogno di mettere sempre una causa drammaticamente personale ad ogni avvenimento politico, muove dal caso del Buondelmonti, ma più acuto del Villani che andava smarrendo il filo della grande contesa, s'accorge subito che dietro i Guelfi e i Ghibellini non stanno solo l'Impero e la Chiesa, bensì la feudalità e il popolo: l'una rappresentante la razza dei vincitori sovrappostasi alle genti latine nell'invasione, l'altro ancora in gran parte latino malgrado la mistura del sangue e nemico inconciliabile della feudalità per la tradizione del suo passato e la necessità del suo futuro. Ma anche qui il Macchiavelli non arriva ad abbracciare tutto il problema, giacchè non cerca nemmeno di cogliere i veri rapporti della feudalità italiana coll'Impero e le sue affinità colla vita italiana, e fuorviato dall'odio alla Chiesa travisa l'opera del papato, del quale l'alleanza col popolo diventa un assurdo inesplicabile.
Inesatto nelle date, poco scrupoloso dei fatti, sospinto dalla passione politica verso le epoche che maggiormente si presteranno alle considerazioni e alle teoriche che lo signoreggiano, analizza distrattamente la Costituzione del Primo Popolo, oblia la Costituzione precedente dei Consoli e la Costituzione