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delle Storie e la calma necessaria alla sua vita di letterato. Impiegato e cliente subalterno, la fede della quale si vanta così spesso nelle lettere, non è che troppo spesso docilità e poltroneria. Forse la viltà dei tempi lo scusa, quantunque anche allora vi fosse chi sentiva altamente e sapeva arrischiare la vita per idee, nelle quali Macchiavelli con artistica sincerità non realizzava che la bellezza incomparabile del proprio stile.
Quando il Macchiavelli si pose alle Storie, dice benissimo il Villari, v'erano in Firenze due scuole di storici, quella del Villani nella quale proseguivano annalisti e diaristi, e l'altra degli eruditi con alla testa Leonardo Aretino e Poggio Bracciolini non molti anni addietro segretari entrambi della Repubblica. Spregiatori della cronaca, pur nella forma rispettandone la divisione per anni, costoro avevano mirato alla dignità classica solamente trasformando ogni minima scaramuccia in battaglia e vestendo tutti i personaggi alla romana. Quindi in essi non critica degli avvenimenti, non ritratti, non aneddoti che mostrino il carattere dei tempi: l'aggruppamento dei fatti, determinato sempre da ragioni letterarie e decorative, finisce quasi ad annullarli. Nullameno questo esercizio rettorico della storia aveva inconsciamente condotto gli eruditi nel dilatarsi del campo storico verso la critica filosofica e filologica.