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non protestò contro il Principe, Leone X consultò poco dopo Macchiavelli sulla politica generale e sulle condizioni di Firenze; Clemente VII più tardi gli commise le storie. Nifo di Sessa, volgare filosofo, tradusse in latino il Principe, alterandolo per dedicarlo come scrittura propria a Carlo V, finchè il Blado nel 1531, cum gratia et privilegio, di Clemente VII e d'altri principi, stampò Discorsi e Principe.
Ma quando Firenze cadde, dopo l'eroica resistenza, per l'ultima volta sotto i Medici, lo spirito politico cominciò ad osteggiare il Principe, prendendolo per un codice vero della tirannide, e l'evidente intenzione consigliatrice e scientifica del Macchiavelli parve infame. Il secolo cominciava a mutare: la morte politica aveva messo nell'anima di Firenze qualche reazione di vita morale. Del resto la pretesa del libro di essere un trattato, la sua stessa forma, la contraddizione che nello spirito del Macchiavelli l'aveva prodotto, dovevano essere un problema insolubile fino a quando la critica moderna ricostruendo il cinquecento e comprendendone il carattere per mezzo della prospettiva e del raffronto cogli altri secoli, potesse assegnare all'arte ciò che vi si oppugnava come scienza, spiegando nel Macchiavelli le antitesi della sua natura amalgamate colle contraddizioni del suo tempo. Certo