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cui la sola unità è nelle scene. Le parti non essendovi prestabilite, ogni attore può impossessarsi di quella che più gli talenta, salvo ad averne la forza. Una fantasmagoria sanguinosa si apre dinanzi al pensiero, ma così incessante ed immensa che il cuore non può sopportarla se non concentrandosi in qualcuno de' suoi quadri, mentre l'intelletto, cercando il nodo che stringe scena a scena, spia già quella che finisce per indovinare la fine di un'altra che incomincia.
È come un'altra visione ariostea trasportata dal sogno della cavalleria medioevale alla storia del mondo. I vari gruppi delle scene e dei personaggi vi rappresentano gl'imperi e le repubbliche dell'antichità. Le decorazioni contigue rimangono nullameno distinte, formando ciascuna un mondo a parte. Ma in questo caleidoscopio, che pare così vario e nullameno è così uniforme, ancora un'altra somiglianza con quello dell'Ariosto, giacchè la scena che vi si eseguisce è sempre politica ed è sempre un uomo che vuol comandare ad un altro che non vuol obbedire, solo l'eroismo di chi vince o di chi perde, tanto più bello se di un capitano che si sacrifichi per il proprio esercito o di un re che muoia per il proprio popolo, può apprendere all'intelletto qualche entusiasmo. L'eroismo allora sale oltre la virtù, la morte si complica di un olocausto che esaltando