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gigante. La scure che troncò il capo al Carmagnola non potè impedire a Francesco Sforza di farsi signore di Milano: poco dopo Lodovico il Moro era tradito da' suoi mercenari, e Firenze condannava invano Paolo Vitelli, per finire tradita dal Malatesta. La politica informandosi dal condottiero divenne vile, mentre principi e diplomatici, lontani dal campo di battaglia, dovendo anzi tutto assicurarsi di chi vinceva o perdeva per loro, finivano fatalmente per correre più volontieri i rischii delle congiure che quelli della guerra.
Il Valentino, mettendosi principe fra i condottieri, volle diventarlo per conto proprio. Il suo problema a distanza di secoli impicciolito nelle proporzioni storiche dell'Italia d'allora, ricordò quello di Annibale: costituirsi un esercito per impadronirsi dell'Italia. Se la famosa frase del carciofo non fu vera, basta alla gloria, del Valentino che gli sia attribuita. Ma incalcolabilmente superiore ai condottieri del tempo, che dagli splendori di Francesco Sforza e di Niccolò Piccinino precipitavano all'ultima decadenza, egli fu un politico profondo come i migliori veneziani, efferato come tutti i tirannelli di allora. Non bisogna dimenticare che gli Aragonesi, gli Estensi, i Riario, i Bentivoglio, gli Sforza, i Comuni, i Pontefici, le Repubbliche, tutti erano egualmente subdoli e feroci. Il pugnale e il veleno