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oltrecchè essendo universale per istinto non avrebbe potuto costringersi nella storia italiana senza annullarsi, i suoi istinti e le sue necessità di regno lo costringevano a maggiori contraddizioni e a più inintelligibili mostruosità. Talvolta il pontefice non era che il re di Roma, usufruttuario di un regno per lui intangibile come un fidecommesso; tal'altra un dinasta, che non potendo trasmetterlo alla propria dinastia tentava d'ingrandirlo per cederne così le accessioni. Poi il papa era pontefice capo della cristianità minacciata ora dal solo scisma che dovesse restare davvero importante nella sua storia.
Intanto il cinquecento si avanzava brillando. Tutte le arti rinate con Dante, il più grande artista dell'umanità, divenute adulte, si riunivano a Michelangelo quasi per finire come avevano cominciato; l'erudizione aveva disseppellito pressochè tutto il mondo classico e cominciava ad intenderlo; Colombo scopriva l'America, Copernico dava il moto alla terra, Lutero la libertà alla coscienza, Raffaello l'ultima bellezza alla forma, Ariosto l'ultimo poema alla poesia; Giulio II era l'ultimo guerriero del papato, Firenze doveva essere l'ultimo Comune italiano.
La coscienza italiana era vuota e torbida al tempo stesso; nessuna dignità di popolo o tradizione o ideale. Roma antica, straniera all'intelletto e