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li amici debbono a ogni visita far crocchio intorno al fuoco. Io seguiva coll'avidità di un infermo, da quasi quattro mesi segregato dalla società, il loro cicaleccio che raccontava forse per la centesima volta una storiella del teatro.
Poi se ne sono andati tutti insieme, ma Fossa rimasto ultimo colla maniglia dell'uscio in mano, mi si è rivolto e:
— Che cosa pensi tu del Macchiavelli? Mi ha ripetuto burlescamente.
Bada che al mio ritorno mi dovrai una risposta; ti concedo di restare a letto tutti questi giorni per scriverla se ciò te la renda più facile.
Ed è fuggito ridendo.
Che cosa penso io dunque del Macchiavelli, di questa sfinge intorno alla quale si affatica da tanto tempo il pensiero dei dotti, e che mutata in simbolo sinistro esprime pei volghi quanto di più profondamente perfido e serenamente cinico possa essere la natura umana? Che cosa vi è di vero nella parola macchiavellismo per Macchiavelli? Quale fu il suo pensiero nel pensiero del suo secolo, nello spirito della storia? Ha egli meritato l'iscrizione ampollosamente semplice che in Santa Croce lo dice superiore ai due più grandi uomini dell'Italia, Dante e Michelangelo — Tanto nomini nullum par elogium? — La sua azione nel mondo fu uguale al