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Don Giovanni Verità 13

presa la più mortificata delle fisonomie. La platea se ne era accorta, e rideva. Nel palco della deputazione teatrale due lavandaie, le sole donne che si vedessero al comizio, ne rappresentavano apparentemente anche la sola pulizia.

— Sei brutto! tuonò improvvisamente un vocione, e si vide un gesto indicare un ometto calvo, dalla faccia ignobile e cadaverica, che occupava in un palchetto del secondo ordine il posto della più bella signora del paese.

Tutti capirono a volo l’allusione del confronto, ed applaudirono.

Egli comprese, arrossì, avrebbe voluto fuggire, ma i compagni lo rattennero fischiando.

— Viva Garibaldi!

— Viva Mazzini!

— No, viva la comune!

— Viva Garibaldi e la rivoluzione sociale!

— Viva Garibaldi!

E questo nome dominava, riuniva tutti gli evviva. Una frase, nella quale si distinse solo la parola carabina, suonò e si perdette nel frastuono del loggione. Poi si intesero fuori lontano degli squilli di fanfara e un fremito corse in tutte le persone, che si voltarono istintivamente alla porta. Il corteo, che avrebbe dovuto formare il vero comizio, si avvicinava e il teatro era già pieno.