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e sono mendicanti, carrettieri di ogni sorta, pellegrini che nessuna città può rattenere, vaganti pel mondo quasi per provare a coloro che vivono e muoiono nel paese ove nacquero, che quello è sempre stato uno anche quando la sua unità non era ancora passata dalla vita nella storia. Questi nomadi, pei quali la curiosità della vita altrui è la suprema ragione della propria, rappresentano il principio della eterna mutabilità. La loro patria è il mondo, il loro Dio un ignoto, la loro famiglia imitata su quella degli uccelli, che fanno il nido dovunque e costruendo il secondo non ricordano più il primo; la loro intrepidezza è al di sopra di tutti i bisogni, la loro costanza lunga quanto la loro vita.
Poeti del viaggio, cantano non scrivono: filosofi della umanità, prima che questa idea fosse concepita e fusa questa parola, passano artisticamente curiosi e cinicamente indifferenti attraverso tutti i popoli, pensando quando capiscono, sorridendo quando non comprendono; liberi nella schiavitù universale della storia che sottomette i sudditi ai re e i re a sè medesima, ricompendia o in sè stessi la poesia dei mari e dei monti, dei campi e delle paludi, delle città e dei deserti, ma non amano che la strada nella quale sentono di essere primi. I loro mestieri mutano ad ogni stazione; la loro esperienza che ha visto tutto vince la diffidenza