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aveva, nella sua fiacca coscienza di cattolico, sentito il bisogno di scrivere una lettera quasi di scusa al Papa, rincarando sulla vilezza dei ministri che si confessavano spinti su Roma dal popolo, scambiando così per finezza diplomatica la loro insufficenza in uno dei più grandi momenti della storia universale, Umberto I nell'assumere il regno, riaffermò contro il papa Roma intangibile degli Italiani. Questa salda sicurezza di contegno gli valse subito le simpatie della nazione.
Ma le encicliche del papa, i discorsi ministeriali, certe proposte di legge respinte e molte leggi interpretate a rovescio; opuscoli, libri, doni alle chiese, cortesie al pontefice, ingegno preclaro di politico quanto minuto e falso letterato: una prudente risurrezione del vecchio guelfismo, tutto accennò ad una conciliazione non ben definita sulle idee ma troppo chiara nei sentimenti. Il principato invocava dal papato le sue armi spirituali a guarrentigia dell'ordine contro le ignobili anarchie della piazza.
E, bisogna pur confessarlo, la maggior parte del pubblico vi era favorevole. Ruggero Bonghi ne scrisse molti articoli sulla Nuova Antologia che furono poco letti e meno compresi. Ora la conciliazione, apparentemente in preda ad una crisi, occupa tutti i giornali e nello stesso Parlamento ne fu discusso,