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Don Giovanni Verità 9

gue che il balenìo bianco delle fibbie di acciaio sui cappelli, simile a un balenìo d’armi, avrebbe potuto a una fantasia troppo eccitabile spiegare sinistramente. La folla strepitava scherzando con tale veemenza che sembrava di minaccia. E non vi erano o non si vedevano signori. L’impressione era di una immensa plebe, sciaguratamente vestita a festa e quindi anche più brutta, che aveva tutto inondato con un senso feroce di conquista. La gente cacciatasi nei palchi non vi si poteva calmare, inebbriata di quella specie di sfregio fatto intenzionalmente ai padroni assenti, troppo timidi per difendere i propri palchi, mentre il Municipio, vile al solito in faccia alla folla, aveva persino ceduto i palchi non suoi.

Le vanterie dell’assalto rimbalzavano da palco a palco ora che tutti erano rivoluzionalmente occupati. Molte mani gesticolavano per aria in segno di trionfo o agitavano cappelli: parole oscene scoppiavano, affermazioni superbe di monelli che gremiti nel palco della Prefettura e della Giunta municipale vi assumevano con grazia scimmiesca atteggiamenti gravi di magistrati, ma per lanciare subito altre urla di gazzarra, ricomponendosi a un rimbrotto inaspettato, accendendo tutti i razzi di un riso inconscio e strepitoso, pel quale l’aspettazione di quanto deve succedere vale più di quanto succederà. Poi le figure accigliate e le pose impettite dei ribelli