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Dal cinquanta al cinquantanove le congiure seguitarono nelle Romagne sempre occupate dai tedeschi per conto del papa, ma la persecuzione cessò di essere feroce. Pena maggiore divennero la prigionia e l'esilio. La prima quasi sempre evitabile col secondo. L'oppressione del governo era tutta morale, e forse per questo più dolorosa. Pio IX, temperamento femmineo troppo diverso dal fiero ingegno e dal carattere superbo di Gregorio XVI, non infellonì che qualche rara volta per suggestione di consiglieri.
Intanto Don Giovanni seguitò a prestare la propria opera a tutti i proscritti traducendoli in Toscana, dove il governo granducale, ignobile ma corrivo, li lasciava vivere o li espelleva senz'ira. E furono anni febbrili di aspettazione. Il Piemonte messosi a capo del movimento italiano, quantunque costretto troppo spesso a contraddirlo perseguitando e calunniando i più illustri rivoluzionari, infiammava tutte quelle speranze che aveva tradito nel quarant'otto; mentre il conte di Cavour succeduto al Gioberti, di lui meno vasto e profondo, ma più pratico di negozii politici e più pronto all'azione molteplice di un momento, nel quale si dovevano concordare parlamenti, diplomazia e insurrezioni, persuadeva al mondo che l'Italia aveva finalmente un uomo di Stato. Torino era diventata il rifugio dei maggiori emigrati