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Bisognava dunque agire invece di discutere, perchè le polemiche irritano e gli esempi confortano. In quel momento Roma papale rinnovava tutti gli errori de' suoi molti secoli di storia. Il papato ricomponendosi il trono sulle rovine della rivoluzione aveva bisogno della morte di Garibaldi; questi vivo, il popolo si ricorderebbe sempre della breve repubblica romana guardandone i triumviri o il generale e li stimerebbe sempre capaci di ricominciare. L'Austria accorsa in aiuto del papa aveva altrettanto bisogno di uccidere in essi l'idea della unità italiana. Gli ultimi casi della guerra si prestavano meravigliosamente a una fucilazione quasi irresponsabile per il governo; una pattuglia l'eseguiva, se ne riprovava magari l'uffiziale, premiandolo secretamente. Le monarchie e i ducati italiani ripristinati, folli di paura e d'egoismo reazionario, applaudirebbero: il popolo mal desto dalla rivoluzione, aggirato dalle calunnie, blandito negli interessi e nelle abitudini lascerebbe compiere il delitto, che una interpretazione vaticana avrebbe subito chiamato espiazione.
Bisognava che un prete scevro d'intenzioni riformiste e rimasto come estraneo alla rivoluzione lo impedisse.
Ciò avrebbe significato che Roma aveva torto e che la dottrina di Cristo non escludeva nessuna libertà.