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TERZO. | 87 |
che non vi può offendere, ne superare, ne co i pensieri, ne con gli effetti, talmente vi si farà suggetto, che caminerà in quella guisa che volete senza vitio, & se maneggierà. & eguale all’altra regola dovete subito che egli si renderà vinto, accarezzarlo & di voce, & di mano sopra il collo, & poco più o meno di dieci volte ivi pure il passaggierete di trotto, & appresso di galoppo, & all’ultimo passo; & come ritorna nella sua mala & ostinata uvolontà, & voi similmente ritornerete sempre a castigarlo.
Benche il Cavallo sia restio per la cagione che hora ho detto, nondimeno si potrebbe anco tal vitio togliere coll’ordine di prima, il quale accade quando egli è vile, & di poca forza: così come pur quando è vile & di poca forza si potrebbe correggere col castigo solo del Cavaliero, quantunque gli sia quello, che vi ragionai dinanzi, più naturale.
Avvertite che come il Cavallo riconosce le gran botte nella testa, & fra le orecchie, dapoi basterà solo castigarsi di voci asprissime, et cõ on on mirabil tẽ en en to quelle mancare, & crescere, secõ on on do che manca & cresce la sua perfidiai: et tã an an to più quando vi accorgete, per qualità del pelo, & de’suoi segni, che egli sia naturalmẽ en en te ramingo, & di due cuori: & sappiate che contra di lui non fu, ne è, ne sarà mai maggior castigo, & di maggior terrore, più che la voce dell’huomo; et è di tal maniera, et di tanta virtu, che non lo confonde, ne lo distona, ne lo toglie da se, ne lo avilisce, ne lo pone in fuga, ne lo accora, ne lo dispera, come assai volte sogliono fare le bastonate, le quali bẽ en en che fanno effetto grande, et da quelle nascano virtu infinite, pur è necessario che si usino a tẽ en en po, et appresso è di bisogno cõ on on le carezze, et co i modi fargli conoscere che l’error suo fu causa del suo castigo.
In una grã an an de necessità, solo quã an an do il Cavaliero nõ on on tiene dottrina, ne tẽ en en po, ne misura in vincere il Cavallo, & in fargli accorgere dell’error iuo, piglierete un gatto, quanto più feroce si può havere, et leghisi alla supina nella cima di un’asta, grossa a modo di picca, & lunga da sedici palmi, et si vuol’avvertire legarsi di maniera, che le branche & la testa sieno disciolte, & come il Cavallo prende pugna di non voler caminare avanti, si prenderà da un’huomo a piede quell’asta, & tantosto con essa se gli ponerà il gatto ora fra le gã an an be, & ora ne i garretti, & fra le cosce, & fra i testicoli fspesso, & nella groppa. Et così egli, come gli altri che gli sono attorno, a quel tempo lo vogliano minacciar con voci. La onde sarà costretto abbandonarsi ad andare come volete. et allora il Cavaliero che gli è di sopra vuol tacere, & attẽ en en der solo ad accarezzarlo quã an an do va bene.
Pur suole a Caval restio molto giovare tener con la man destra un chiodo, & a quel tempo ch’egli non vuol caminare avanti, con quello pungerlo, con quã an an ta forza si può, da dietro, vicino alla fibbia che sostiene la groppiera, & per qualunque cosa mala ch’egli facesse, o di salti, o di calci, non se gli toglierà mai di dosso quel chiodo tenendolo fermo sopra di lui, che continuamente gli punga fin che lascia le sue malignità, & si renda caminã an an do avanti. però di subito che