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dell’abbondanza delle ricchezze domandiamo, larghissimo principato è a te con mirabile fede di cittadini, e fermissimo con somma benevolenza di tutti. Se delle virtù dell’animo cerchiamo, tanta è a te abbondanza d’ogni virtù, quanto alcuno onesto animo può desiderare. Che più dirò della giustizia, della religione, della liberalità, della clemenza, della pietà, della fede, della costanza, della temperanza e della prudenza tua, colle quali reggi e governi il clarissimo principato? Le quali tali, e tante sono, che tu puoi essere chiamato amore e delizie dell’umana generazione, siccome di Tito Imperadore, figliuolo di Vespasiano, è scritto. Per le quali cose questa nuova e gioconda disputa, o probatissimo interprete di tutte le grandissime cose, e degnissimo giudicatore delli illustri fatti, nel seno della mansuetudine tua da essere giudicata rimetto.

Nella florentissima età, nella quale lo Imperio de’ Romani cresceva, del Senatorio ordine fu uno chiarissimo uomo, nominato Fulgenzio Felice, per molte ricchezze, d’onestà, d’amici, di grazia de’ cittadini, e abbondantissimo di tutte fortune, il quale della sua donna, chiamata Claudia, ebbe una figliuola, chiamata Lucrezia, di splendida bellezza, la quale era unica e sola speranza della sua onesta vecchiezza. Perchè in costei, oltre alla chiarezza della bella forma, nella quale trapassava tutte le Romane vergini, tanta era ornata e temperata vita, tanta onestade di costumi, tanta forza d’ingegno, ed ammaestramento di lettere, che a lei non mancava alcuna cosa, la quale si potesse desiderare nello animo di qualunque età si fosse.

Infiammati adunque dello amore di costei, in fra più altri giovani romani, due giovani più efficacemente s’infiammarono, a’ quali simile bellezza era, ed età, ma varii erano in fortuna e in costumi. L’uno, nominato Publio Cornelio, della illustre famiglia de’ Cornelii, quasi di tutti i beni della fortuna era abbondevole, e sopra la clarità della nobilità della proge-