Io, tra ’l Vèsero infido o la selvaggia
Elba, i nemici a debellar del cielo
Mi sarei travagliato, in Francia voi
Correre, insegna contro insegna, e crisma
Contro crisma levar, perfidi! e pormi
In un letto di spine, il più giocondo
De’ vostri sogni era codesto. Al cielo
Parve altrimenti. Voi tempraste al mio
Labbro un calice amaro; ei v’è rimasto:
Votatelo. Di Dio tu mi favelli;
S’io nol temessi, il rio che tanto ardia
Pensi che in Francia il condurrei captivo?
Cogli ora il fior che hai coltivato, e taci.
Inesausta di ciance è la sventura;
Ma del par sofferente e infaticato
Non è d’offeso vincitor l’orecchio.
CARLO, DESIDERIO, ARVINO.
arvino.
Viva re Carlo! Al cenno tuo, dai valli
Calan le insegne; strepitando a terra
Van le sbarre nemiche; ai claustri aperti
Ognun s’affolla, ed all’omaggio accorre.
desiderio.
Ahi dolente, che ascolto! e che mi resta
Ad ascoltar!
carlo.
Né si sottrasse alcuno?
arvino.
Nessuno, o re: pochi il tentar, ma invano.
Sorpresi nella fuga, d’ogni parte
Cinti, pugnar fino all’estremo; e tutti
Restar sul campo, quale estinto, e quale
Ferito a morte.
carlo.
E son?
arvino.
Tale è presente,
A cui troppo dorrà, se tutto io dico.